“Stiamo attraversando uno dei periodi peggiori della nostra storia con un governo ibrido e da brividi che in modo spregiudicato utilizza il bastone e la carota: il bastone subito e la carota sono promesse a divenire”. Così iniziavo il mio intervento nella Assemblea Nazionale svoltasi a Milano nella giornata del 29 settembre,giornata promossa dai sindacati CUB, SI Cobas, Slai Cobas, USI Ait a sostegno dello sciopero generale dei 26 ottobre. Metto anche in evidenza nell’intervento che la Lega di salvini ha dichiarato una guerra spietata ai migranti, con il placet dei 5 stelle, una campagna intrisa di odio razziale, una merce che costa poco e utile per i facili consensi, identificando negli immigrati la causa principale dei problemi del paese, con l’evidente intento di spezzare l’unità della classe lavoratrice e consegnare al padronato una mano d’opera sottomessa al ricatto dello sfruttamento.
È stata data lettura della relazione introduttiva ad una migrante egiziana, facente parte del gruppo di occupanti che si definiscono “Mario dice 26×1” che, avendo rioccupato l’edificio abbandonato da Alitalia nel comune di Sesto San Giovanni, sono stati la prima vittima dell’applicazione della famigerata circolare del Ministro degli Interni che ordina ai prefetti lo sgombero immediato di case ed edifici occupati.
Nella relazione si sono elencati i principali obbiettivi rivendicati dallo sciopero generale: dall’abolizione di tutte le leggi sulla precarizzazione del lavoro, il ripristino delle tutele nei licenziamenti, l’adeguamento dei salari al costo della vita nelle rivendicazioni contrattuali, la richiesta di una consistente riduzione dell’orario di lavoro in risposta ai processi tecnologici per aumentare l’occupazione, una forte riduzione degli anni lavorativi e dell’età per il diritto alla pensione, il diritto alla sanità gratuita ed alla casa per tutti, una rappresentanza sindacale effettiva nei luoghi di lavoro. Un punto rivendicativo importante è quello “contro le guerre e le spese militari. Le politiche di guerra che portano avanti i nostri governi oltre ad un grave coinvolgimento in teatri bellici tutt’altro che umanitari, come vengono etichettate le missioni militari all’estero, con l’acquisto di armi sempre più sofisticate (vedi cacciabombardieri F35) costituiscono anche un costo insostenibile. Tutte risorse sottratte principalmente al sostegno delle più elementari necessità della popolazione. Solo battendoci contro le spese militari possiamo tagliare l’erba sotto i piedi a queste politiche di guerra.”
I delegati e i lavoratori della logistica hanno evidenziato come le conquiste e le adesioni ottenute nel settore sono frutto di lotte dure, di picchetti con il blocco delle merci, riuscendo a far rispettare, cosa impensata prima, l’applicazione del contratto ed il pagamento degli straordinari che non erano riconosciuti, ottenendo anche il passaggio di categoria in automatico e la riduzione dell’orario di lavoro in alcune situazioni. Si lanciava però una forte accusa al nuovo decreto del governo, fatto apposta per fermare queste lotte, con condanne fino a 4 anni per blocchi stradali, per picchetti e blocco delle merci, fino a 6 anni per chi è accusato come organizzatore. Tutto ciò avrà un peso particolare negli immigrati, in quanto tali condanne possono causare l’espulsione dal territorio italiano. Una politica di pesantissima repressione.
Passando all’esame di quella che da parte del Ministro Di Maio è stato reclamizzato come Decreto Dignità con l’intento dichiarato di colpire la precarietà del lavoro, la realtà vera è che non è stata soppressa una sola delle tante leggi che precarizzano il lavoro. Lo stesso Job Act è rimasto, con qualche piccolo aggiustamento, mentre il ripristino dell’art. 18 è stata un’altra promessa mancata. È stato solo aumentato il contributo per i licenziamenti illegittimi. Quindi di dignità neanche l’ombra, una bufala che va denunciata per tutto il periodo di preparazione dello sciopero generale. Una chiara dimostrazione che quando si tratta di attaccare veramente gli interessi padronali, di là degli slogan, si preferisce eclissare.
Si parla di riduzione di tasse, ma al momento solo per i settori imprenditoriali, si promettono riforme ballerine che cambiano da un giorno all’altro e i cui costi non è ancora chiaro chi se li accollerà. Quello che è certo non andranno a intaccare le grosse rendite finanziarie e la grossa evasione fiscale che restano sempre un tabù. Su tale punto nella relazione presentata all’Assemblea si afferma “Il nostro più che un timore è certezza: ci saranno pesanti tagli nel settore sociale (sanità, scuola, casa) non certo nelle spese militari”.
Un altro tema che ha preoccupato ed impegnato l’Assemblea è, come già evidenziato, l’enorme pressione messa in campo dal Ministro degli Interni Salvini presso tutti i prefetti, con la famosa circolare già menzionata, tramite cui, in nome della sacralità della proprietà privata, si ordina l’immediato sgombero di tutti gli spazi occupati: sia case occupate sia edifici abbandonati al degrado, per necessità di un alloggio e per l’utilizzo di spazi sociali. Di sgomberi che vengono effettuati giornalmente ormai se ne perde il conto, a fronte di migliaia di appartamenti vuoti, ma la gravità maggiore è che intere famiglie, con prole annessa, vengono letteralmente buttate in mezzo alla strada, senza preoccupazione alcuna di una sistemazione alternativa. Questa è una crudeltà che non possiamo permettere e che deve essere fronteggiata con tutte le nostre forze, perché il diritto alla casa non può e non deve essere negato a nessuno.
Si è parlato anche come il decreto sicurezza approvato, come ricordava una compagna kurda, riduce fortemente le protezione umanitaria agli immigrati, allargando la fascia degli immigrati illegali sul territorio, facilitando enormemente, anche per una semplice accusa di reato, la loro espulsione e quella dei famigliari.
Da evidenziare anche che nel clima razziale che si sta diffondendo le organizzazioni fascio-naziste, sentendosi protette dall’alto, sempre più frequentemente praticano prepotenze ed incursioni violente da non sottovalutare. “Abbiamo un solo strumento per opporci – precisavo nell’intervento -: la mobilitazione, la lotta, lo sciopero ed è per questo che abbiamo dichiarato lo sciopero generale del 26 ottobre”.
È uno sciopero proclamato da CUB, SI Cobas, Sgb, Slai Cobas, USI Ait, non a caso da quei sindacati non firmatari dell’accordo della vergogna del 10 gennaio 2014, a differenza di altri che si sono sottomessi: si è creata una forza unitaria e di volontà tale da consentire, in questo momento non facile, la proclamazione dello sciopero generale. “La nostra è l’unica proposta di rottura per portare il conflitto in questo paese – è stato rivendicato – basata sull’unità di un programma chiaro, per mobilitarsi nei luoghi di lavoro e scendere in piazza per cambiare le cose”.
La relazione introduttiva terminava con questi concetti: “Per noi Sindacato di Classe significa: – “un sindacato che rilanci con forza il l’idea del conflitto come unico strumento per perseguire obiettivi di solidarietà e giustizia sociale, tanto più a fronte dei fallimenti della concertazione sociale che è servita solo a ridistribuire in favore dei più ricchi. – un sindacato che, grazie al suo funzionamento dal basso, assembleare e federalista garantisca dibattito e pluralità interna, così da poter essere davvero un’organizzazione di massa e “casa” della classe lavoratrice e non essere lacerato da continue scissioni. – rilanciare con forza il tema della più completa autonomia del sindacato da qualsiasi condizionamento esterno: che sia il governo, il padronato o un partito, perché solo così potrà assolvere coerentemente ai primi due tratti appena citati”.
Sappiamo che con la giornata di sciopero del 26 ottobre si gioca una partita importante per il movimento di opposizione in questo paese. Come si afferma nella parte finale della mozione conclusiva “Il 26 non è e non sarà il punto di arrivo. Subito dopo dovremo continuare ad intensificare le iniziative comuni, continuando a dare spallate al Governo, e continuando a costruire un percorso di lotta di classe comune in questo paese”.
Enrico Moroni